Tutti noi abbiamo vissuto un evento che ci ha procurato ansia: di fronte a una commissione d’esame, ad un primo appuntamento, ad un colloquio di lavoro, prima di un intervento in pubblico o prima di guidare. Le circostanze possono essere svariate e molteplici.
Quando allora l’ansia diventa anormale, eccessiva? Esistono dei criteri per capire se la nostra ansia è fuori controllo?
Se crediamo che l’evento che stiamo vivendo sia troppo pericoloso e che la nostra incolumità sarà compromessa, mentre ad osservatori esterni la situazione appare tranquilla, siamo vittime dei così detti “pensieri disfunzionali”. Le nostre percezioni ci fanno immaginare disgrazie e pericoli che non sono reali, e ci portano ad evitare l’evento temuto senza considerare la possibilità che esso non si presenti affatto, o che siamo comunque in grado di affrontarlo.
Abbandonarsi a tali pensieri pone la nostra vita “in sospeso”: non si riesce a condurre una vita piena e soddisfacente in campo lavorativo, scolastico o relazionale, perché si crea un senso di sfiducia nelle nostre capacità, che, nei casi più gravi, ci può condurre verso una deriva depressiva.
Anche il nostro fisico è messo in allerta, come se dovesse affrontare un pericolo reale. I muscoli si irrigidiscono, la gola si secca, il cuore batte più velocemente e il respiro diventa affannoso: tutto questo spesso degenera in veri e propri attacchi di panico.
Una psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale, grazie ad opportuni strumenti e tecniche, aiuta ad affrontare e superare queste sensazioni di precarietà e agitazione che ci tolgono il respiro e che non ci consentono di cogliere appieno le opportunità che ci offre la vita.
Alcuni eventi della nostra vita possono farci sperimentare momenti di tristezza e “flessioni dell’umore” che, se presenti per la maggior parte del giorno per più di due settimane, possono delineare un disturbo di tipo depressivo. I sintomi che accompagnano la depressione sono molteplici, spesso si perde interesse e piacere per le attività amate, si subiscono importanti fluttuazioni di peso e disturbi del sonno.
I sintomi della depressione possono essere racchiusi in quattro macro-aree:
Area somatica
La depressione si manifesta con sintomi fisici come la mancanza di energie, il senso di affaticamento e dolori fisici che non hanno una giustificazione medica, spesso affiancati da difficoltà di concentrazione, problemi alla memoria e nervosismo.
Altri tre indicatori importanti sono i disturbi del sonno, le forti variazioni di peso corporeo e la mancanza di desiderio sessuale.
Area emotiva
le emozioni che caratterizzano la depressione sono la tristezza, l’angoscia, il senso di colpa, la disperazione, la mancanza di speranza e la rabbia, infatti, anche piccoli stimoli possono indurre in una persona depressa comportamenti aggressivi verso sé stesso e verso gli altri.
Area comportamentale
la depressione si manifesta e si rende visibile agli altri soprattutto attraverso alcuni comportamenti, come repentine riduzioni delle attività quotidiane di base (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, pulire casa, etc.) e una costante ricerca dell’isolamento sociale. Il numero di attività si riduce e si diviene passivi, svogliati, privi di desideri sessuali. Nei casi più gravi si può pensare, pianificare e/o tentare il suicidio.
Area Cognitiva
Spesso chi soffre di depressione racconta di avere difficoltà a pensare, a ricordare e a concentrarsi: anche prendere le più piccole decisioni quotidiane può risultare arduo. I pensieri che invadono la mente sono estremamente negativi e pervasivi, riguardano sé stessi, il mondo circostante e il futuro, sperimentando un senso di vuoto infinito. Anche la percezione del tempo muta, esso infatti sembra dilatarsi e non passare mai.
Purtroppo, spesso chi è depresso si sente una persona indegna, un peso per la famiglia e per la società, irretito da un vortice infinito di autosvalutazione.
Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, grazie alla psicoterapia e/o ad una cura farmacologica mirata si riesce a superare la propria condizione di sofferenza.
Per il solo fatto di esistere tutti noi potremmo essere esposti ad eventi traumatici. Questi possono essere o eventi che minacciano la nostra integrità fisica e psichica (Traumi T maiuscola) come calamità naturali, incidenti, stupri, femminicidi o omicidi di persone care, diagnosi infauste oppure esperienze che all’apparenza possono apparire irrilevanti (Traumi t minuscola), ma che sono ugualmente invalidanti perché sono ripetute nel tempo oppure sono state subite durante l’infanzia, come abbandoni, umiliazioni e trascuratezza da parte delle figure genitoriali. Nel caso dei Traumi T maiuscola il ricordo rimane bloccato, come se l’evento fosse successo poche ore prima e non anni addietro, mentre nel caso dei traumi t minuscola il ricordo è meno invalidante anche se rimangono sensazioni di insicurezza, mancanza di autostima, colpevolizzazioni, ansia o attacchi di panico.
La terapia con EMDR si basa sull’assunto che i pensieri, le emozioni e i comportamenti negativi siano il risultato di memorie non elaborate. Il trattamento prevede delle procedure standardizzate che includono (a) la focalizzazione simultanea su associazioni spontanee di immagini, pensieri emozioni e sensazioni corporee legate all’evento traumatico e (b) la stimolazione bilaterale che avviene comunemente attraverso la forma di rapidi movimenti oculari (OMS, UNHCR).
Tali stimolazioni hanno lo scopo di favorire una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali e si basano su un processo neurofisiologico naturale, simile a quello che avviene nel sonno REM (fase del sonno in cui si sogna).
L’elaborazione dell’esperienza traumatica che avviene con l’EMDR permette al paziente, attraverso la desensibilizzazione e la ristrutturazione cognitiva, di cambiare prospettiva al ricordo, cambiando le valutazioni cognitive su di sé, incorporando emozioni adeguate alla situazione oltre ad eliminare le reazioni fisiche.
Questo permette, in ultima istanza, di adottare comportamenti più adattivi e dopo un trattamento con EMDR, il paziente non presenta più la sintomatologia tipica del disturbo post-traumatico da stress; quindi, non si riscontrano più gli aspetti di intrusività dei pensieri e ricordi e dei comportamenti di evitamento.
https://emdr.it/index.php/emdr/
Per autostima si intende la considerazione che un individuo ha di sé stesso. Avere problemi di autostima significa considerarsi inferiori agli altri, credere di non valere abbastanza.
Tutto ha origine dal tipo di accudimento avuto dai genitori e dal conseguente stile di attaccamento maturato. Se le figure di accudimento avute, di solito i genitori, sono state amorevoli e hanno reso possibile l’esplorazione dell’ambiente circostante, è stata incentivata la sicurezza e la capacità di credere nelle proprie potenzialità e capacità. Se invece le figure di riferimento erano assenti, fredde o incoerenti, alternavano momenti di calore a momenti di rigetto, è più probabile che l’autostima, una volta adulti, ne abbia risentito. Le relazioni adulte, che si modellano proprio da queste prime esperienze di amore, possono accrescere o minare la considerazione che abbiamo di noi stessi. Altresì, vicende personali legate all’abuso, soprattutto se reiterato negli anni, destabilizzano in maniera profonda la fiducia che si ha nelle proprie capacità, sminuendosi e credendo di non valere abbastanza.
Bisogna considerare che l’autostima non deriva dal desiderio di raggiungere un traguardo o dal cercare di assomigliare ad un modello di riferimento, perché proprio questa idea implica che per ottenere una buona considerazione di se stessi bisogna impegnarsi, fare fatica, non fermarsi mai. Questo è proprio quello che c’è di più lontano dall’idea stessa di autostima, perché racchiude in sé il concetto di non essere all’altezza delle proprie aspettative, di non andare bene. Avere autostima invece significa vedere la propria unicità e di accettarla così com’è, perché proprio grazie a questa caratteristica intrinseca non ci si pone termini di paragone. Bisogna imparare ad essere comprensivi con sé stessi, a non giudicarsi, ad accettare la propria fallibilità di essere umani e iniziare a chiederci cosa ci renderebbe davvero felici.
La somatizzazione è il processo alla base del disturbo psicosomatico. Con tale termine si intende, infatti, il meccanismo che permette di trasformare i processi psichici in somatici, coinvolgendo il sistema endocrino ed immunitario. Insomma, i disturbi psicosomatici (o somatoformi) mostrano sintomi fisici che suggeriscono l’esistenza di un disturbo organico (da qui somatoforme), i cui sintomi non derivano né da una condizione medica generale né dagli effetti diretti di una sostanza, ma solo dalla presenza di un disagio mentale.
Immaginiamo, a esempio, una situazione tipica in cui potrebbe verificarsi un disturbo psicosomatico: una rabbia non espressa, inibita, potrebbe essere gestita canalizzandola, attraverso un meccanismo di somatizzazione sul corpo producendo, in questo modo, un sintomo organico come il mal testa ricorrente.
Solitamente questi meccanismi sono determinati dalla presenza di forte stress, da ansia patologica, da paura costante o da a un forte disagio. Si attiva, così, il sistema nervoso autonomo, che a sua volta risponde con reazioni vegetative che portano alla manifestazione di problemi fisici, come:
- disturbi dell’apparato gastrointestinale: quali nausea, meteorismo, vomito, diarrea, colite, ulcera, gastrite, intolleranza a cibi diversi;
- disturbi dell’alimentazione: quali anoressia, bulimia.
- disturbi dell’apparato cardiocircolatorio: quali aritmia, ipertensione, tachicardia;
- disturbi dell’apparato urogenitale: quali dolori e/o irregolarità mestruali, disfunzioni dell’erezione e/o dell’eiaculazione, anorgasmia, enuresi;
- disturbi dell’apparato muscolare: quali cefalea, crampi, torcicollo, mialgia, artrite;
- disturbi della pelle: quali acne, psoriasi, dermatite, prurito, orticaria, secchezza cutanea e delle mucose, sudorazione eccessiva;
- disturbi pseudo-neurologici: quali sintomi da conversione come alterazioni della coordinazione e/o dell’equilibrio, paralisi o ipostenie localizzate, difficoltà a deglutire, afonia, cecità, sordità, amnesie;
Le manifestazioni organiche non sono prodotte intenzionalmente, né tantomeno sono il frutto di simulazione, ma sono disagi reali. Questi sintomi organici possono portare ad un grado di sofferenza molto elevato in diverse aree del proprio funzionamento, come la vita affettiva, sociale, lavorativa e familiare.
Le modalità che utilizziamo nel presente per relazionarci con gli altri e i valori, i giudizi e i significati che abbiamo di noi stessi sono influenzati dal modo in cui siamo stati allevati, dalle cure che i nostri genitori, o chi per loro, hanno utilizzato durante la nostra infanzia.
Affinché il rapporto tra due o più persone proceda positivamente, bisogna tener conto del punto di vista dell’altro, dei suoi sentimenti, dei suoi obiettivi e delle sue aspirazioni, in modo tale da costruire nel tempo mete condivisibili. Per far questo è necessario avere una comunicazione continua che renda possibile uno scambio proficuo tra tutti gli interessati.
Quando la comunicazione non è libera, il conflitto relazionale prende il sopravvento perché si perde di vista l’altro o non si ascolta più se stessi, ne consegue che l’equilibro necessario all’interno della coppia o di un gruppo viene meno.
La psicoterapia è lo strumento migliore attraverso il quale si smette di essere schiavo di vecchi stereotipi e si diventa in grado di sentire, pensare e agire in modo nuovo.